Stefi mi scrive dalla Tanzania. Una volta tanto non si tratta di “cronaca tulimica” ma di una peripezia di viaggio visto che la nostra, fra necessità di rinnovare il visto e super stress da super lavoro, ha preso un periodo di meritato riposo.
La morale della favola però è veramente trasversale e internazionale e solo solo per questo vale la pena di leggere fino alla fine il suo divertentissimo resoconto.
“Pianificare un viaggio zaino in spalla e low budget da queste parti è sempre un po’ complicato, io e Geni abbiamo iniziato a organizzare il nostro viaggio in Mozambico ad aprile. Avevamo poche certezze, fra queste la decisione comune di non prendere aerei, avere bagagli molto piccoli e utilizzare solo guest house locali. Incontriamo i primi intoppi cercando alloggi su internet, tutti posti meravigliosi sulla costa mozambicana che va da Palma a Pemba, niente sotto i 60 dollari, decidiamo che siamo disposti a cercare direttamente sul posto, abbandoniamo jovago e tripadvisor e iniziamo a studiare i trasporti, scopriamo che è relativamente facile passare il confine, bisogna arrivare a Mtwara nel sud della Tanzania (9 ore di bus da Ubungo) e da li spostarsi a Kilambo, piccolo villaggio di frontiera, dove è possibile prendere un passaggio in barca e arrivare finalmente in Mozambico. Cerchiamo di capire come regolarci con i visti, chiamiamo l’ Ambasciata del Mozambico a Dar e ci dicono che i visti sono ottenibili al confine. Ieri mattina all’alba, fuori è ancora buio, iniziamo la nostra avventura prendendo un autobus per Mtwara e ci prepariamo al lungo viaggio. Per chi non avesse presenti i trasporti in Tanzania aggiungo che un viaggio in autobus può facilmente costare una coronaria ai più pavidi. Insolitamente prima di partire un poliziotto sale sull’autobus e rivolgendosi a noi passeggeri dice: “se l’autista supera il limite di velocità è vostro dovere chiedergli di rallentare, se non lo fa dovete inviare un sms al numero della polizia stradale con il nome del bus e la strada che state percorrendo”. Appena usciti da Dar l’autista inizia la sua folle corsa, dopo qualche chilometro di sorpassi a dir poco azzardati e curve da brivido sussurro al mio compagno di viaggio ” should we call the police?” mi osserva per capire se parlo seriamente e i nostri vicini di sedile si sbellicano senza sosta, accantono l’idea di salvarmi la vita con una telefonata e mi rassegno sperando di arrivare integra a destinazione. Dopo 9 turbolente ore arriviamo a Mtwara, è pomeriggio. Veniamo immediatamente assaltati dai guidatori di bajaj, ne scegliamo uno a caso, contrattiamo sul prezzo e gli chiediamo di suggerirci una guest house economica, ne visitiamo qualcuna, e alla fine scegliamo quella che ci sembra più adatta alle nostre esigenze (no puzza, no rete zanzare con buchi enormi, no colonie di intrepidi scarafaggi) e chiediamo informazioni sul famigerato valico del confine, ci dice che i visti vengono rilasciati li a Mtwara e ci spiega come raggiungere l’ufficio. Dopo qualche ora di sonno decidiamo di uscire in cerca di cibo, ci si prospetta una cittadina fantasma, senza illuminazione, senza abitanti, nemmeno una gallina per strada. Troviamo un bar, mangiamo e ce ne torniamo in hotel. La mattina dopo arriviamo pimpanti all’ufficio e qui l’amara scoperta, Geni può passare il confine senza problemi ma io, senza il visto dell’ambasciata non posso andare da nessuna parte, primo pensiero è cercare un potente stregone e fare una macumba all’impiegato dell’ambasciata, secondo pensiero accasciarsi e piangere tutte le lacrime a disposizione, terzo pensiero elaborare alla svelta un piano B.
Ci infiliamo nuovamente in un bajaj sgangherato, andiamo alla stazione dei bus e prendiamo il primo bus in direzione Dar. Ci consultiamo, la strada da percorrere passa per Bungu, 40 km da Nyamisati, porto da cui parte il barcone per Mafia, splendida isola semi selvaggia nell’ oceano Indiano a sud di Zanzibar, la decisione è presto presa. Scrivo da un baretto vicino al “porto” che porto non è, è piuttosto un enorme gradino da cui la barca parte e attracca, nei dintorni numerosi viaggiatori, neanche l’ombra di un mzungu naturalmente. Nell’attesa, la nave parte alle 5 di mattina, scrivo le mie peripezie che ora mi sembrano tutto sommato molto piccole, alla fine l’importante è andare, zaino in spalla e esplorare…avere un piano b!”.
Un pensiero su “Piano B”