Svegliarsi. Riassestarsi all’interno del sacco a pelo. Riaddormentarsi. Svegliarsi nuovamente. Chiedersi se il suono che si sente sulla tenda è prodotto da gocce di pioggia o da foglie che cadono dagli alberi. Percepire il vento che piega leggermente la tenda verso il tuo viso. Addormentarsi nuovamente. Svegliarsi nel momento in cui la notte lascia il posto al giorno e a sancire questa alternanza c’è solo il canto improvviso degli uccelli. Aspettare nel sacco a pelo caldo che venga l’ora di alzarsi. Vedere la condensa sul telo della tenda che si raccoglie in gocce e le gocce in rivoli che scivolano giù. Sentire che gli altri cominciano a svegliarsi.

Aprirsi al giorno in silenzio. Venire fuori dal sacco a pelo. Mettersi in piedi. Aprire la cerniera della tenda. Uscire nel mattino che punge. Indossare gli scarponi. Fare pipì mentre guardi la nebbia leggera che ancora insiste sulla campagna. Osservare la luce del sole che si fa lentamente strada attraverso la campagna. Sapere che il freddo che senti durerà ancora poco e godertelo di più proprio per quello. Accogliere i primi raggi sui palmi delle mani.

Tornare alla tenda. Tirare tutto fuori affinché il sole asciughi e riscaldi. Scambiare due parole con gli altri: “come stai? Come è trascorsa la notte? Hai sentito il vento stanotte?”. Prepararsi alla colazione. Andare al bevaio a prendere l’acqua. Portarsi dietro le stoviglie sporche della sera prima. Lavarle con la sabbia avendo cura di non sporcare l’acqua alla quale si abbevereranno gli animali. Riempire il pentolino. Raccogliere la nipitella che cresce vicino al bevaio.

Tornare al campo. Accendere il fornello. Porvi sopra il pentolino che ti accompagna da tanto tempo e mettere nell’acqua le foglie di nipitella e qualche gambo di finocchio selvatico. Aspettare che bollisca. Distribuirla nelle tazze. Aggiungere lo zucchero del barattolo in cui ne hai messo la giusta quantità. Mescolare l’infuso con un rametto di legno. Sorseggiarla lentamente mentre ti guardi attorno. Una ghiandaia passa in volo rasente sul campo.

Guardare ancora una volta il campo, fino a quando è ancora “casa”.

Smontare rapidamente ed in silenzio la tenda che intanto si è asciugata. Preparare lo zaino. Avvolgere il materassino, avvolgere il sacco a pelo. Sentire che sono tiepidi ed asciutti. Ricomporre la batteria da cucina. Mettere nello zaino tutte le altre cose utilizzate la sera prima e durante la notte.

Tornare al bevaio per riempire la borraccia e lavare i denti.

Ritornare al campo. Vedere che al centro dello spazio in cui c’era la “casa” adesso ci sono solo gli zaini che la contengono.

Afferrare lo zaino dagli spallacci. Sollevarlo. Poggiarlo sulla coscia. Fare quel certo movimento che ti consentirà di issarlo in spalla. Sentirlo compatto, pesante, equilibrato. Sapere che lo hai preparato bene.

Cominciare a camminare. Sentire la strada che cambia sotto i tuoi piedi. Camminare sulle pietre. Camminare sull’erba. Camminare sul muschio. Attraversare lo pozzanghere avendo la sensazione che i tuoi piedi possano rinfrescarsi. Affrontare la salita sentendo il mutamento che essa produce ai muscoli delle tue gambe, al battito del tuo cuore, alla frequenza del tuo respiro. Camminare in pianura. Godere del muoversi senza la fatica che ti distrae. Sentire tutto, ma proprio tutto. Muoversi attraverso le macchie di sole lasciare passare dalle chiome degli alberi. Avvertire pezzi di calore e ombre gelate che ti carezzano la pelle.

Affrontare a discesa. Con gli alluci che spingono sulla punta dello scarpone. Con le ginocchia che stridono e i polpacci tesi.

Fermarsi brevemente per il pranzo. Sulla radura, fra gli alberi. Togliere lo zaino. Sentire la maglietta bagnata di sudore che aderisce alla schiena. Toglierla e stenderla fra i rami di un cespuglio, al sole. Togliere gli scarponi. Togliere le calze. Sentire l’erba tiepida e fresca contemporaneamente sotto i tuoi piedi. Prendere dallo zaino del pane, olive, formaggio. Mangiare lentamente, la schiena poggiata allo zaino.

Chiudere nuovamente lo zaino. Indossare la maglietta, le calze, le scarpe. Riprendere a camminare. Osservare come le ombre delle cose cominciano ad allungarsi, come l’aria comincia a rinfrescarsi. Guardare la carta topografica. Orientarla con il sole. Calcolare brevemente quanto manca. Accertarsi che nel luogo che hai scelto per la sosta serale ci sia vicino dell’acqua. Riprendere a camminare. Notare che con la temperatira cambiano anche gli odori. Sentire brevemente il profumo del fiore della salsapariglia che ti sussurra che l’auunno è alle porte. Intravedere il sole che cala piano ditro gli alberi oltre alla sella.

Giungere al campo. Poggiare finalmente lo zaino per terra. Affrettarsi a montare la tenda, prima che cali il buio e arrivi la guazza. Sentire che attorno a te i compagni cercano legna per preparare il fuoco di campo.

Prendere dallo zaino il tuo vecchio sarong. Svestirsi. Lasciare gli abiti nell’abside della tenda. Preparare sul materassino ciò che indosserai per la notte. Avviarti lentamente verso il fiume. Sei già stato in questo posto. Sai che fra gli alberi il fiume crea una pozza dove è possibile immergersi. Entrare nell’acqua gelata. Sentire che il tuo corpo reagisce al freddo. Resistere. Restare immerso per un poco. Sentire il fondo limaccioso sotto i tuoi piedi. Percepire che attorno a te la notte avanza. Sentire i versi degli animali che abitano il giorno spegnersi lentamente e dare spazio a quelli della notte. Intravedere la luce del fuoco di campo fra gli alberi. Venire fuori dal fiume. Strofinarsi con forza con il sarong. Sentire che l’acqua ha portato via in un attimo tutta la fatica del giorno, dalle spalle, dalla schiena, dalle gambe, dai piedi.

Tornate lentamente al campo concentrandoti su ogni singolo passo, su ogni singolo rumore. Indossare gli abiti per la notte. Preparare un posto comodo e asciutto vicino al fuoco. Prepararsi alla cena. Preparare per prima cosa il budino al cioccolato. Una volta pronto andare ad immergere il pentolino in una pozza gelata del fiume affinchè si rapprenda. Poi preparare il riso. Cenare in allegria raccontandosi a vicenda i fatti del giorno. Sentirsi più che vedersi. Sentirsi più che parlarsi. Sentire se stessi. Sentire gli altri. Riordinare il campo. Spegnere ciò che resta del fuoco. Ritirarsi nella tenda. Entrare nel sacco a pelo. Chiudere gli occhi.

Abitare per un poco il tempo, dilatando lo spazio fino a fare coincidere la casa con il pianeta. Questo è il mio desiderio per oggi.

21 pensieri su “Abitare il tempo

          1. fa un male terribile, anche se l’ultima escursione che ricordo fu tanti tanti anni fa sul Monte Genuardo, ma per la verità giocavo in casa.

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                  1. io sono giu’ nell’area di preriserva naturale orientata del Monte Genuardo. Un paradiso, volpi, istrici, martore, falchi, capovaccai, cinghiali e quant’altro …

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          1. Ahahahahahahahah nono devi camminare 2 ore con lo zaino in spalla… trovi qualche foto spersa in giro per il blog… Ora vedo se le trovo… 😀

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