Mia sorella mi invita a dire qualche cosa sulla recentissima scoperta delle onde gravitazionali. Appena me lo ha chiesto ho pensato che forse non c’era nulla da dire su una cosa già prevista cento anni fa se non, forse, ripetere in altra forma quanto già scritto nel mio post di qualche giorno fa per celebrare la nascita di Mendeleev. Einstein era di sicuro un’altra persona alla quale era stato concesso di accedere al “disegno divino” ed era talmente in confidenza con la divinità da assicuraci che essa non è mai “triviale” e non nutre alcuna passione nei confronti del gioco d’azzardo.

Poi però, mentre parlavo con mia sorella, mi sono reso conto che una lucina si era già accesa dentro di me e quindi alla fine le ho detto che probabilmente una cosa l’avrei scritta.

Come sempre parto da lontanissimo.

C’è una storia, letta chissà dove, che per tanto tempo ho raccontato fra i boschi delle Madonie. Una storia bella da raccontare in una fredda mattinata di febbraio, piacevole da ascoltare in una tiepida notte di settembre.

E’ la storia che racconta del modo in cui l’assiolo (uno dei più piccoli rapaci notturni) riuscì a procurarsi il suo canto.

La storia narra di come Dio fosse a quel tempo  impegnato nella fase conclusiva della sua creazione. Un po’ affaticato da sei giorni di duro ed ininterrotto lavoro, seduto sul suo scranno, riceveva ad uno ad uno gli animali che aspettavano in fila per avere il proprio nome e il proprio “verso”.

Per ognuno di loro aveva un sorriso, un complimento, un nome e un’idea su quale sarebbe potuto essere il loro canto, il loro verso, la loro voce.

La fila procedeva lentamente ma verso la fine del sesto giorno sembrò proprio che si fosse esaurita e Dio, perciò, decise di chiudere le porte del Paradiso per concedersi un’epica dormita.

Sentì però una vocina venire dal basso, proprio sotto la scala che portava al suo trono. Appollaiato li, più simile ad una pallina di piume che ad un animale vero è proprio c’è questo esserino che lo guarda con i suoi enormi occhi.

Chi sei tu?” chiede Dio. “Sono l’assiolo” risponde quello, “mi hai dato poco fa il nome, ti sei dimenticato però di dirmi quale è il mio verso”. Dio lo guarda un po’ disperato. Da dietro il trono viene l’inconfondibile suono di qualche cosa che bolle all’interno di una pentola, assieme ad un buon profumo. Dio però prova compassione di quel mucchietto di piume (e se non lui chi?). Allora decide di fare un ultimo sforzo e anche considerato il fatto che sta creazione l’ha fatta un po’ di fretta, dice all’assiolo; “senti un po’, è da sei giorni che lavoro come un somaro…si proprio quello con le orecchie pelose al quale ho dato poco fa quel bellissimo verso…e adesso un canto per te in testa non mi viene proprio. Facciamo che fra poco parto per un rapido giretto della creazione. Vado un po’ a zonzo a vedere se tutto funziona al meglio e sono sicuro che un’idea mi verrà. Tu aspettami qui che torno subito”.

Detto ciò, mentre la sera si inoltra sul mondo nuovo (il Signore solo sa quanto ho aspettato per usare questa frase!!!), Dio si lancia in volo giù dal suo trono che naturalmente è piazzato proprio in cima alla montagna più alta. Comincia  a planare giù proprio come farebbe oggi uno di questi  che fanno base jumping (e che io invidio moltissimo). Va giù a braccia aperte sfiorando le nevi eterne (da quel momento in poi). Precipita giù dai ghiacciai. Sfiora i boschi alle pendici dei monti. Si fa solleticare dalle cime degli alberi, si impiastriccia piedi e mani con la loro resina. Poi incontra un fiume e comincia a seguirne il corso. Rasente sull’acqua disegna merletti con le punte degli alluci. Ogni tanto si volta e vola sulla schiena per guardare le nuvole che sembrano volere gareggiare con lui. Il fiume infine sfocia in mare. E lui continua il suo volo. Si tuffa nelle onde come fosse un pesce volante e riemerge dall’altra parte, carezza le isole, lascia che nella sua barba si impiglino la spuma delle onde e le stelle marine. Arrivato al fondo della creazione, finalmente si ferma, e si gira.

E si accorge che tutto quello che ha fatto è meraviglioso…e ride.

La sua risata si disperde, lenta, attraverso il mondo da poco creato.

E’ quasi la notte del sesto giorno quando Dio decide di tornare indietro. Nuovamente attraversa il mare. Si volta ancora sulla schiena per vedere questa volte le stelle con le quali ha trapuntato il cielo. Poi giunge alla foce del fiume e comincia a risalirlo. Lucciole, come stelle riflesse, inondano i prati sulle rive del fiume, ricolmano i boschi che subito dopo incontra. Spariscono solo quando intraprende l’ultima salita fra le nevi e i ghiacci che risplendono della luce lunare. Giunge infine al suo trono e a quel punto ha un solo pensiero: riposarsi.

Ma li, in fondo alla scala c’è l’assiolo che lo aspetta e lui se ne è completamente dimenticato.

L’uccelletto lo guarda con i suoi enormi occhi che lo fanno sentire tanto in colpa. Dio non sa come dirglielo ma poi comincia: “senti mio caro assiolo…è sei giorni che lavoro…”, “come un somaro…” dice l’assiolo, “si come un somaro…” conferma Dio. “In tutto questo tempo  non ero riuscito neanche a dare un’occhiata a tutto quello che avevo fatto (quando si lavora in emergenza è così…), adesso finalmente ci sono riuscito. Speravo proprio che questo mi avrebbe fatto venire un’idea, ma la mia testa è completamente vuota…mi dispiace…”.

L’assiolo lo guarda con il più biblico dei suo sguardi e poi gli dice: “forse un’idea ce l’avrei io”. Dio stupito lo invita a proseguire.

L’assiolo comincia: “ti ricordi quanto sei sceso giù in volo dal tuo trono e hai cominciato a precipitare lungo il fianco della montagna?”, Dio annuisce. “E poi quanto hai volato sopra i boschi fino a quando non hai incontrato il fiume?”, Dio annuisce ancora. “E poi quando hai seguito il corso del fiume fino ad arrivare al mare?”, Dio continua ad annuire sentendo che la sua proverbiale pazienza comincia ad essere messa a dura prova. “E poi sei arrivato alla fine della creazione…ti sei girato e hai riso? Bene, io quella risata la ho sentita, anche lei ha attraversato tutto il creato ed è arrivata sino a qui…ed era molto bella…ti dispiacerebbe se scegliessi questa come verso?”.

Se attraversando un bosco la notte sentite una strana risatina che sembra venire da molto lontano non potete sbagliarvi: o è un assiolo che gironzola da quelle parti oppure è Dio reduce dalla sua ennesima visita del creato.

Ecco dentro di me questo è quello che sento quando penso alle radiazioni gravitazionali. Non penso ad onde che si propagano a fronte dell’alterazione dello spazio tempo prodotta anche solo dall’esistere di un grave in questo universo. Non mi è piaciuto che, appena comunicata, questa scoperta è stata presentata come “la prima volta in cui era stato possibile ‘osservare’ le onde gravitazionali” (lo so…lo so cosa vuol dire “osservare” in fisica…ma non mi è piaciuto lo stesso). Mi piace molto di più adesso che qualcuno comincia a dire che queste onde siamo in grado di “ascoltarle” (e addirittura da qualche parte su internet è già possibile farlo letteralmente).

Quello che mi piace pensare è che questo universo ha prodotto in questi miliardi di anni uno sforzo immane per riuscire a creare un essere che fosse in grado di percepirlo, di riflettere su di esso, di sviluppare consapevolezza attraverso il suo meraviglioso cervello, di decidere che è necessario prendersene cura e infine di volerlo contemplare. E quell’essere siamo noi. I nostri occhi in tutto questo tempo sono state le finestre attraverso le quali abbiamo percepito la luce, adesso è tempo che le nostre orecchie ne percepiscano il canto, sentano finalmente il riso di gioia che Dio ha emesso, il sesto giorno, consapevole finalmente della meraviglia creata.  

 

12 pensieri su “Il sesto giorno

  1. Se l’assiolo ci racconta la risata di Dio, il suono delle onde gravitazionali cosa ci racconterà? Hai mai pensato alla memoria prenatale? Se il suono fosse quello? E ogni essere vivente cosa pensa prima di nascere?
    (Zio Fa, la storia dell’assiolo mi è piaciuta tanto)

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