Ci sono una serie di racconti da me scritti che hanno trovato ispirazione dalla mia esperienza di cooperazione di comunità in Tanzania con l’Associazione Tulime ONLUS. Raccontano storie vere. Forse non sempre sono riuscito a sfuggire ad una certa “retorica africanista” (diciamoci la verità: non ci sono riuscito quasi mai) ma di sicuro hanno il valore di un documento, sono testimonianza di un impegno iniziato nel 2001 e che ancora dura e produce frutti (spero buoni e soprattutto nutrienti).
In tutti i racconti ci sono io attraverso il mio alter ego “Mzungu” (che è l’equivalente di “uomo bianco” in Swahili ma la cui etimologia sembra che abbia origine dal verbo “circondare” e quindi Mzungu è “colui che circonda”…niente male come percezione che gli africani hanno di noi!). Quello che trovate di seguito è il primo della serie.
Mzungu voleva riportare i ragazzi a casa
Mzungu voleva riportare i ragazzi a casa. L’ultima ora era passata tutta sotto una pioggia battente a fare buche per gli alberi al campo D e i ragazzi erano bagnati fradici. Anche Mzungu era bagnato fradicio ma non ci badava, pensava soltanto a riportare i ragazzi a casa. Per la verità Mzungu voleva sempre riportare i ragazzi a casa, era per lui una specie di fissazione, sia nel caso di un gruppo di escursionisti guidati da lui sulle montagne della sua terra, sia nel caso dei volontari che lo seguivano nella missione africana. Infatti ogni volta appena rientrava in aeroporto della sua città era sempre l’ultimo ad uscire agli arrivi, come se volesse scortarli fino alla fine, e allora rivolto ai genitori o alle fidanzate dei volontari diceva sempre: “vi ho riportato i ragazzi a casa”. Ma adesso erano tanto lontani dal giorno in cui sarebbero rientrati in Italia e la pioggia aveva cominciato a rendere le strade impraticabili e il trattore al quale era attaccato il rimorchio con su trenta ragazzi procedeva a fatica. Mzungu sapeva come questo fosse ancora niente e che il peggio sarebbe venuto quando avrebbero dovuto affrontare la discesa prima del ponte di legno. Mzungu aveva un po’ di paura. Era il pomeriggio dell’ultimo dell’anno e lui voleva soltanto riportare i ragazzi in fretta a casa prima che si prendessero un accidente, ma quella strada era così brutta da costringerlo in molti tratti alla seconda ridotta con la quale si aveva a malapena la sensazione di muoversi. I ragazzi erano tutti sul carrello coperti da un pesante telone verde e avevano già cominciato a cantare, solo Adams era seduto vicino a Mzungu sul parafango ma anche lui per la maggior parte del tempo era voltato verso gli altri tranne nei rari momenti nei quali doveva indicare la strada. Poi cominciò la brutta discesa per il fiume. Al centro la strada era solcata da un ampio canale dove si raccoglieva tutta l’acqua piovana, e anch’esso sembrava oramai un vero e proprio fiume. Mzungu tentava di tenere le ruote del trattore sui due lati del canale ma temeva che una ruota potesse scivolare dentro o peggio che fosse il carrello a scivolare tirandosi dietro il trattore. A un certo punto quando vide che il trattore slittava pericolosamente rischiando di intraversarsi decise di mettere la prima ridotta e lento come una lumaca ma con le ruote che facevano buona presa sulla fanghiglia di cui la strada era ricoperta, si avvicinò sempre più al fiume. Pensava che una volta superato il ponte di tronchi la salita sarebbe stata facile: ma non conosceva bene quella strada. Mzungu ricordava continuamente a se stesso che doveva assolutamente evitare di frenare, non doveva farsi prendere dalla paura e soprattutto non doveva frenare. Se avesse frenato il rimorchio per inerzia avrebbe continuato a muoversi e con il suo peso avrebbe rischiato di spingere di lato il trattore o di spezzare il gancio. Questo pensiero era buono per tenere lontani tutti gli altri di cui la sua testa era stata piena in quei giorni. Ma Mzungu oramai era abbastanza tranquillo, il ponte distava solo pochi metri e si concesse perfino una seconda ridotta prima di attraversarlo. Lo attraversarono: Mzungu, ragazzi, trattore e carrello, traballando un po’ sui tronchi viscidi e poi furono dall’altra parte. A quel punto pensò, una volta arrivato alla missione, di dire a Shemazi Paolo di celebrare la messa sui ponti di legno anzicchè in chiesa perché era su questi che pregava di più e con maggior fervore. Ma Mzungu superato il ponte si accorse subito che qualcosa non andava. La salita era decisamente più ripida di quanto ricordasse e la pioggia si era ormai trasformata in un vero e proprio muro d’acqua e aveva scavato un enorme canale al centro. Cominciarono la salita con le ruote a cavallo del canale ma il trattore stentava chiaramente a portare su il carrello. Ad un tratto le ruote anteriori cominciarono a slittare. I ragazzi dietro adesso cantavano “yo yo yo – yo yo yo” e non si accorgevano di niente. Mzungu avrebbe voluto farli smettere ma non sapeva proprio come dirglielo. Egli si rese d’altra parte conto di non potere continuare ad andare avanti ancora per molto con la seconda, ma capì anche che se nel tentativo di mettere la prima avesse impiegato più di una frazione di secondo il trattore avrebbe cominciato a slittare all’indietro e non avrebbe potuto evitare il peggio. Strinse con fermezza la leva ed effettuò rapidamente il cambio di marcia. Sentì la prima ingranare e le ruote ricominciare immediatamente a mordere la strada, ma poi d’improvviso il canale si allargò ulteriormente e superò di qualche centimetro la distanza fra le ruote. Mzungu disse fra se “Buttana, no!” ma avrebbe voluto gridare. Vide la ruota di destra scivolare nel canale e la ruota di sinistra impennarsi e cominciare a girare all’impazzata schizzando fango dappertutto. Dietro continuavano a cantare “yo yo yo – yo yo yo” quando il trattore subì il primo strappo all’indietro da parte del carrello e si piegò verso sinistra. Mzungu avrebbe voluto gridare “gettatevi giù, scappate” ma sapeva che oramai era troppo tardi oltretutto non voleva guardare dietro nel timore di vedere il carrello ribaltarsi dentro il canale. “Yo yo yo” cantavano i ragazzi mentre Mzungu tentava di sterzare per cercare di poggiare la ruota destra al centro del canale per permetterle di fare presa sul fondo pietroso. La manovra riuscì e anche la ruota sinistra si posò sul bordo del canale. Il carrello si raddrizzò e il trattore si blocco per un attimo, poi ricominciò a scivolare all’indietro. “Yo yo yo” cantavano i ragazzi sempre più forte e il trattore si fermò di nuovo ma questa volta il carrello si era quasi piegato ad angolo retto. Poi con uno scatto il trattore sembrò volere muoversi in avanti, la ruota di destra fece presa sul fondo del canale e poi anche l’altra riprese aderenza e il carrello senti il richiamo del trattore e si raddrizzò un poco. Poi il trattore si mosse decisamente in avanti ma era ancora troppo lento e Mzungu gridò senza volerlo “non ce la faccio” come se fosse lui a sostenere tutto lo sforzo. Adams che non capiva l’italiano lo guardò e rise perché pensava che stesse scherzando ma Mzungu temette per un attimo di non riuscire a riportare i ragazzi a casa. “Yo yo yo” cantavano e il trattore sembrò acquisirne il ritmo e si tirò dietro il carrello riottoso e addentò il fango e trovò un angolo un po’ più piano sul quale acquistare un po’ di velocità e tirò fuori il carrello dal canale. Mzungu si accorse di essere tutto sudato sotto la pioggia gelida ma ormai erano fuori e mentre dietro i ragazzi continuavano a cantare mise la terza ridotta e saltò quasi sulla strada principale. Di li a poco, mentre la pioggia diminuiva, erano in vista della missione e Mzungo si stupì nel pensare quanto buffo fosse dirsi che si vedeva “la croce dietro le acacie” e come non ci avesse mai pensato prima. Ancora un paio di buche colme d’acqua, un piccolo scarto per evitare che i rami delle acacie buttassero giù dal carrello qualcuno dei ragazzi e poi furono nel cortile della missione. Shemazi Paolo li aspettava davanti la porta. Mzungu scese dal trattore e strinse la mano al frate. “Ho riportato i ragazzi a casa” disse.
Per un attimo mi sono sentita su quel trattore.. Accanto a te…ma come caspita
fai a rendere così reali le cose che scrivi?
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Mari tutto sta nel farsela sotto alla grande…e poi vedi come ti restano ben scolpite in mente le cose!
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In questo “racconto” sono d’accordo con te ma com’è che ho “visto” perfettamente Zaccheo e Veronica in “Da Gerico a Gerusalemme” e Giuda all’angolo ne “L’Ospite”? Non le hai vissute quelle giornate eppure sembra così…
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